Posted as guest by Fabrizio:
Dai mi ritaglio qualche decina di minuti dal lavoro e butto giù due righe per gli amici di Skirando nella speranza di allietare questo primo pomeriggio, che per chi lavora in ufficio è spesso sinonimo di apatia e svogliataggine.
Lo scialpinismo passione che accomuna noi tutti è diventato per me, in questi ultimi anni, una vera e propria mania tanto che mi distoglie quasi completamente dalle altre mie passioni montanare (e non solo). E’ anche vero che il terreno di gioco rimane sempre lo stesso: la montagna, ma le sensazioni ed il piacere che ne traggo è quasi unico. Ma non è esempre stato così. Come già avevo scritto in altre occasioni lo scialpinismo era per me un mezzo per avvicinare la montagna invernale e le uscite si contavano sulle dita di una mano. Mi ricordo che nei primi anni ‘80’ un mio amico con cui si era soliti andare in montagna possedeva già l’attrezzatura da scialpinismo e me ne decantava i benefici per poter salire vette di ‘tremila metri’ anche in Inverno. Caspita, per me era una tentazione visto che avevo il miraggio di quella magica quota e con gli altri amici si cercavano sempre dei ‘tremila’ da salire.
Mi ricordo che andai alla fabbrica di Trabucchi a Bormio ed acquistai un bel paio di loro sci con anima in legno pesanti ma piuttosto larghi e ci montammo un paio di mitici attacchi ‘Nepal’ rigorosamente in ferro (e si perché così son più robusti), pelli di foca della Coltex, un vero lusso. Al tempo la ‘Skitrab’ come la conosciamo oggi era ancora da venire e la reltà era quella di una piccola azienda di quasi artigiani che produceva sci di nicchia. Bisogna dire che la qualità ed il tempo gli hanno dato ragione e merito ed oggi, secondo me giustamente vista la qualità dei loro prodotti, sono leader mondiali negli sci d’alpinismo. Ma ritorniamo a noi e non facciamo della pubblicità ‘gratuita’.
Prima gita: da Santa Saterina al Rifugio Pizzini, mi sembrava di essere in cielo e mi ricordo il freddo ed i colori della luce dicembrina ed anche che scorticai subito le belle pelli su una malefica roccia affiorante. Seguirono altre gite su quello stile e pian piano rividi in versione invernale numerosi luoghi dell’alta Valtellina. Erano sempre avventure solitarie o talvolta in compagnia di mio padre (allora poco più anziano di quello che sono io adesso, porca putt…!). Pian piano comunque si alzava il tiro e si osava sempre più, ma il tutto rimaneva relegato all’Inverno.
Negli anni seguenti, sempre con la stessa attrezzatura, mi ricordo una incredibile spedizione nel mese di Dicembre al Bivacco del Piero nei pressi del Monte Confinale. Ci impiegammo un’eternità nella neve fresca e ventata di inizio Inverno e nel tardo pomeriggio giungemmo al bivacco distrutti. Io ed altri due avemmo la febbre la sera. Passammo lì la notte ed al mattino scalammo il bel canale N del Confinale che era uno specchio di ghiaccio nero già allora. La discesa fu una serie di traversoni senza curve visto che i nostri sci, anche a causa delle nostre modeste doti scivolatorie, venivano intrappolati nella neve cartonata. Alla fine la strada dei Forni fu una liberazione e ci ricondusse a Santa Caterina senza altre tribolazioni a parte il viaggio in auto sino a Milano in una piccola utilitaria stipata all’inverosimile (eravamo in quattro o cinque). Tra l’altro un altro Skirandista si ritroverà in questo racconto perché fu partecipe di alcune di queste avventure.
Sarà un discorso da vecchio, ma ai tempi Internet non c’era e tutto era avvolto in un’alone di mistero, si leggevano informazioni sui libri e sulla arcaica Rivista del CAI. Di conseguenza quando ci inoltravamo nella montagna invernale era sempre un’avventura, spesso all’insegna della solitudine e della traccia da fare. Io tutta sta gran gente in giro per i monti non mi ricordo di averla vista. Ora si va a Febbraio a quattromila metri e ci trovi la traccia, sembra tutto più facile ed accessibile ed Internet funziona come una potentissima cassa di risonanza che come un moderno tam tam tramette i messaggi del popolo della neve. Va bene così e mi adeguo. Probabilmente i miei occhi sono cambiati e quello che un tempo era avventura e magia oggi la vedo in modo differente, forse oggi la banalizzo un po e mi devo spingere sempre oltre per avere quelle sensazioni che allora una gita alla Pizzini era in grado di darmi. Non lo vedo negativamente, è un dato di fatto e mi ci sono abituato e ci convivo e la montagna comunque rimane sempre una fonte di emozioni e per dirla alla Lammer anche di giovinezza. Probabilmente con la vecchiaia (ma non dipende da noi diventare vecchi) allorché si ritorna indietro e si riscoprono altri ritmi, tornerò sui miei passi per rivivere emozioni andate e così anche la gita alla Pizzini tornerà ad occupare il suo giusto spazio nel mio scialpinismo.
Buon pomeriggio.
Fabrizio