Posted as guest by Fabrizio:
Buon Lunedì a tutti e mi scuso con i fan del giornaletto di Topolino per l’uso nel titolo del topic.
Oggi sono in ufficio per la pausa, niente corsa vista la gita di ieri e quindi butto giù due righe che avevo voglia di scrivere da tempo.
Devo fare una premessa necessaria ad inquadrare l’argomento.
Il CAI non è certo un sodalizo che gode delle mie simpatie, non che mi sia antipatico, del resto ne sono anche socio come penso molti di voi, ma mi ricorda tanto certe istituzioni del ventennio. Ai miei occhi il CAI, è accentratore, è gerarchico, è burocratico e reazionario. Bastano? Pensandoci su un po si potrebbero aggiungere ulteriori aggettivi, ma non mettiamo troppa carne sul fuoco, sono tutti aspetti che potranno venire buoni per ulteriori discussioni.
L’emblema di tutto ciò, l’icona del CAI è la sua storica rivista coadiuvata, almeno in diverse sezioni da il giornaletto dello scarpone. Queste pubblicazioni mi hanno sempre ricordato i giornali di partito con tutti quei signori in giacca e cravatta che ne compongono la dirigenza e che le montagne le vedono solo alle innaugurazioni dei rifugi. Se la cantano e se la suonano e spesso sono in odore di politica (questa è una mia personale affermazione che si basa sull’intuito più che su dati di fatto, ma penso di non sbagliarmi). E poi lo avete mai notato, son tutti Dott., Ing, Avv., Cav. e quant’altro la moderna nomenclatura gerarchica ha partorito. Cazzo non c’è mai un presidende del CAI senza titolo che ne so uno che monta le caldaie e che il Sabato e la Domenica vada in montagna. E poi quando escono dalla porta perché il loro mandato è terminato rientrano dalla finestra con il prefisso past.
Ma torniamo a noi, dicevo che la rivista è l’emblema di questo sodalizio e a dir il vero numerosi sono stati gli interventi di famosi e capaci alpinisti e talvolta gli articoli son stati spunto per gite e vacanze; io le conservo dal 1981 ad oggi ed ho amici che hanno anche le raccolte complete iniziate dal nonno. Ma purtroppo ho notato, e non solo io, che in questi ultimi anni gli interventi e la veste grafica (a dispetto della costosa e forse poco ecologica carta patinata con cui è confezionata) sono poveri nei contenuti e superficiali. Non ne faccio una colpa agli ‘inserzionisti’ che anzi ammiro per l’impegno ma a chi cura la rivista e dovrebbe compiere un lavoro se non di scrematura (che sa di censura) almeno di revisione critica. Spesso le foto sono di scarsa qualità e disposte senza un’apparente logica (in passato mancavano addirittura le didascalie ora mi sembra abbiano provveduto). Lo avete visto l’articolo sullo scialpinismo nella zona dei Forni? Ma suvvia zona trita e ritrita con pure le relazioni e la cartina (obsoleta) degli itinerari e quella scandalosa fotografia con l’itinerario tratteggiato in modo pressapochistico con pennarello dalla punta enorme che neanche le mie figlie usano. E’ un itinerario su ghiacciaio o lo segni bene oppure non ne fai nulla, può essere fuorviante e pericoloso. Ed il racconto del ‘bambino’, un’ennesimo connubio tra vino e montagna, che palle!
Ecco mi domando, ma chi ha supervisionato il tutto? Era necessario pubblicare quelle fotografie di modernariato alpinistico con la salopette della ‘Gino Trabaldo’ in primo piano (che poi tutti noi abbiamo a casa e di cui ne siamo tanto orgoliosi e ci fanno dire ai miei tempi….), togliendo spazio prezioso e costoso a poche ma ben fatte immagini?
A voi la risposta e le opinioni in merito.
ps. E’ pur vero che anche altre riviste di settore da acquistare dal giornalaio, cadono nella superficialità che io in una rivista specializzata proprio in quanto tale non ammetto. Vedasi le monografie di ALP. Cito ad esempio la monografia sull’Ortles-Cevedale: le solite gite riportate come il Cevedale (da ben quattro itinerari) e hanno fatto liquidare l’attuale situazione alpinistica ad uno che seppur natio della provincia di Sondrio il ghiaccio e le rocce marce dell’alta valle le avrà calpestate due volte. Capisco che non si può scrivere un libro ma allora non chiamarle monografie.
Fabrizio